La trasformazione digitale interviene in modo pervasivo in tutti gli aspetti della vita aziendale.
Oggi le interazioni tradizionali hanno lasciato il posto a esperienze digitali alimentate dai progressi tecnologici.
Accade spesso che le aziende scelgano la trasformazione digitale, solo per rimanere sul mercato e conservare il proprio business.
Non si tratta però solo di decidere sull’introduzione di una piuttosto che l’altra tecnologia ma di governare i processi di trasformazione digitale.
La sfida per l’imprenditore è essere protagonista di questi processi, per non essere travolto dai cambiamenti la cui velocità è sempre maggiore.
Partiamo con identificare quante sono le imprese in Italia (Fonte: ISTAT Censimento 2019)
CATEGORIA
UNITA’
%
ADDETTI
Grande Impresa ( >250 dipendenti e >50 Mln fatturato)
3.500
0,3%
3,6 Mln
Media Impresa ( <250 dipendenti e <50 Mln fatturato)
21.100
2%
2,0 Mln
Piccola Impresa ( <50 dipendenti e <10 Mln fatturato)
187.100
18,2%
3,3 Mln
Micro Impresa ( <10 dipendenti e <2 Mln fatturato)
3.500
0,3%
3,6 Mln
Per quanto riguarda le scelte strategiche la quasi totalità delle imprese si concentra su:
la difesa della propria posizione competitiva
l’ampliamento della gamma dei servizi e prodotti venduti
l’aumento delle attività in Italia e all’estero
Rispetto a questi obiettivi però solo una piccola parte di esse riesce a raggiungere (parzialmente) quanto prefissato.
Facendo un bilancio del triennio 2016 – 2018 le aziende che hanno pienamente raggiunto gli obiettivi sono una minoranza.
Quasi la metà per l’obiettivo della difesa della propria posizione competitiva.
Circa il 40% per l’ampliamento della gamma di beni o servizi offerti e per l’internalizzazione di attività.
Tra il 25% e il 30% per l’aumento dell’attività in Italia o all’estero, per la penetrazione in nuovi segmenti di mercato o per l’attivazione di nuove collaborazioni.
Su cosa basano la loro competitività le aziende italiane?
Per competere le imprese italiane fanno leva in primis sulla qualità del prodotto o del servizio offerto.
La qualità viene indicata come principale fattore competitivo da oltre il 71% delle imprese con almeno 10 addetti.
Peccato che questo sia un indicatore non rilevabile con dei valori oggettivi (a meno di alcuni settori) soprattutto nei servizi.
Seguono la professionalità e competenza del personale 49,1%, il prezzo di vendita 35,6%, la diversificazione nella produzione di beni e fornitura di servizi 20,5%
La concorrenza di prezzo è sentita come il principale punto di forza soprattutto dalle imprese di piccole dimensioni (circa 36%) e dalle grandi (25,4%).
Queste ultime, potendo beneficiare di un’operatività più elevata, segnalano in particolare l’importanza di offrire beni e/o servizi diversificati (circa 32%).
In generale, le imprese italiane valutano positivamente il proprio posizionamento competitivo nei confronti dei concorrenti.
Il 74,3% delle imprese con almeno 10 addetti (circa 155mila imprese) ritiene la propria capacità competitiva in linea con quella della concorrenza;
Il 17,4% (circa 36mila aziende) si dichiara più competitivo.
Solo l’8,3% (circa 17mila) ritiene di avere un divario di competitività da colmare.
Emerge la percezione prevalente di una competitività all’altezza delle sfide di mercato.
Il saldo positivo delle risposte aumenta al crescere della dimensione delle imprese e raggiunge il massimo nelle grandi (250 addetti e oltre).
La domanda è: se la maggior parte delle aziende pensa di essere posizionata correttamente nella propria categoria di mercato, perchè si và a combattere sul prezzo?
L’ultima indagine dell’osservatorio “PMI Digital Lab” ha sondato quali siano le difficoltà che le imprese incontrano nell’applicare processi di innovazione.
Emerge una percepita carenza di risorse finanziarie e uno scarso utilizzo di risorse economiche diverse da quelle proprie.
Si evidenziano soprattutto carenze di competenze interne e difficoltà di assumere personale esperto.
Altri aspetti da tenere in considerazione sono la difficoltà di gestione nel cambiamento dei processi interni e le resistenze del personale.
Da rilevare anche la mancanza di partner adeguati (in altri Paesi ad esempio è il rapporto con Università e Centri di Ricerca è più sviluppato).
Tra i principali ostacoli all’acquisizione di risorse umane, un’impresa su due lamenta un costo del lavoro troppo elevato
Poco meno di un’impresa su tre, lamenta l’incertezza sulla sostenibilità futura dei costi delle nuove risorse.
Fattore determinato probabilmente dalla variabilità della domanda di prodotti o servizi cui le imprese devono far fronte.
Dall’autovalutazione su quanto sono soddisfatte le imprese (fonte: PMI Digital Lab) emerge che:
Nessuna digitalizzazione 4,8% del campione pari a circa 48.000 imprese (su 1 mln di micro e piccole)
Poca digitalizzazione 32,5% pari a circa 32.000 imprese
Nel censimento permanente ISTAT il tema della digitalizzazione è stato interpretato valutando:
– gli investimenti in tecnologie digitali di tipo infrastrutturale (connessione a Internet, acquisto di servizi cloud, ecc.)
– l’individuazione di investimenti più specializzati (Big Data, applicazioni di Internet delle cose, stampa 3D, robotica, simulazione, ecc.).
In tale prospettiva, per maturità digitale si intende l’investimento in infrastrutture digitali non come obiettivo a sé, ma come condizione per ottimizzare i flussi informativi all’interno dell’impresa, con effetti positivi in termini di efficienza e competitività.
Ecco come hanno risposto le aziende alla domanda:
Quali sono le tecnologie più rilevanti su cui intendi investire nei prossimi 3 anni?
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